DOTT. GIAN LUCA GHISOLFI
Medico Chirurgo
Il grande Angelo terrestre dalle ali d’aquila, lo Spirito senza sonno, coronato di pazienza, stava seduto su la pietra nuda, con il cubito poggiato al ginocchio, con la gota sorretta dal pugno, tenendo su l’altra coscia un libro e le sesta nell’altra mano. Ai suoi piedi giaceva, raccolto in giro come un serpente, il levriere fedele, il cane che primo nell’alba dei tempi cacciò in compagnia dell’uomo. Al suo fianco, quasi appollaiato sul taglio di una macina come un uccello, dormiva il fanciullo già triste tenendo lo stilo e la tavoletta in cui doveva scrivere la prima parola della sua scienza. E intorno erano sparsi gli strumenti delle opere umane; e sul capo vigile, presso l’apice di un’ala, scorreva nella duplice ampolla la sabbia silenziosa del Tempo; e scorgevasi in fondo il Mare con i suoi golfi con i suoi porti con i suoi fari calmo e indomabile, su cui, tramontando il Sole nella gloria dell’arcobaleno, volava il vipistrello vespertino recando iscritta nelle sue membrane la parola rivelatrice. E quei porti e quei fari e quelle città li aveva costruiti lo Spirito senza sonno coronato di pazienza. Egli aveva tagliato la pietra per le torri, abbattuto il pino per i navigli, temprato il ferro per ogni lotta. Egli stesso aveva imposto al Tempo il congegno che lo misura. Assiso, non per riposarsi ma per meditare un altro lavoro, egli fissava la Vita con i suoi occhi forti ove splendeva l’anima libera. Da tutte le forme intorno a lui saliva il silenzio, tranne da una. Sola s’udiva la voce del fuoco ruggente, nel fornello, sotto il crogiuolo ove dalla materia
sublimata doveva generarsi qualche virtù nuova per vincere un male o per conoscere una legge. E il grande Angelo terrestre dalle ali d’aquila, al cui fianco fasciato d’acciaio pendevano le chiavi che aprono e chiudono, così rispondeva a coloro che l’interrogavano: “ Il sole tramonta. La luce, che nasce dal cielo, muore nel cielo; e un giorno ignora la luce di un altro giorno. Ma la notte è una; e la sua ombra sta su tutti i volti e la sua cecità su tutti gli occhi, tranne sul volto e sugli occhi di colui che tiene acceso il fuoco per illuminare la sua forza. Io so che il vivo è come il morto, il desto è come il dormiente, il giovine è come il vecchio, poiché la mutazione dell’uno dà l’altro; e ogni mutazione ha il dolore e la gioia per compagni eguali. Io so che l’armonia dell’universo è fatta di discordie, come nella lira e nell’arco. So che io sono e non sono; e che uno stesso è il cammino, in basso e in alto. So gli odori della putredine e le infezioni innumerevoli che sono congiunte alla natura umana. Tuttavia, di là dal mio sapere, séguito a compiere le mie opere palesi o segrete. Ne veggo alcune perire mentre io ancora duro; ne veggo altre che sembrano dover durare eternamente belle e immuni da ogni miseria, non più mie, se bene nate dai miei mali più profondi. Veggo dinanzi al fuoco mutarsi tutte le cose, come i beni dinanzi all’oro. Una sola è costante: il mio coraggio. Non m’assido se non per rialzarmi.”
Gabriele d’Annunzio da “Il Fuoco”